sábado, 27 de novembro de 2010

Priorità la formazione dei preti» Piacenza oggi cardinale: ricentrare il sacerdozio sull’essenziale Parla il prefetto della Congregazione per il clero: ogni riforma nella Chiesa nasce piegando le ginocchia

 
PIACENZA
 

La formazione del clero e una 'ricentratura' su ciò che è «essenziale» nella vita del sa­cerdote, contro «i vari 'riduzioni­smi secolarizzanti' che si sono suc­ceduti negli ultimi decenni». Sono queste due delle priorità che l’ar­civescovo Mauro Piacenza vede nella sua nuova responsabilità di prefetto della Congregazione per il clero, dopo esserne stato segre­tario negli ultimi tre anni. Il presu­le, che oggi viene creato cardinale nel terzo concistoro di Benedetto XVI, ne ha parlato in una intervi­sta ad Avvenire.

 
Eccellenza, il Papa l’ha chiamata a guidare una Congregazione del­la Curia Romana e quindi l’ha in­serita nel Collegio cardinalizio. Come ha vissuto questo momen­to particolarmente denso della sua vita?

Come un’ulteriore chiamata ad ap­profondire il personale rapporto con Cristo Signore, dal quale sca­turisce ogni servizio ecclesiale e che è l’unica possibile garanzia di fedeltà nel cammino di personale santificazione. Potrei dire che è u­na 'chiamata nella chiamata', che include la vocazione al martirio, ovvero alla coerenza. Credo che o­gni ufficio conferito richieda un supplemento d’amore e l’amore nel tempo che scorre assume il no­me di fedeltà.

Con quale spirito guiderà la Con­gregazione per il clero?

Spero con lo Spirito Santo! E si è certi di agire nello Spirito quando si è in comunione vera, leale effet­tiva con il Papa. Il servizio ai sa­cerdoti ha sempre animato, come caratteristica peculiare, il mio mi­nistero; sin da giovane l’ho sentita come un’esigenza del mio stesso essere sacerdote. Sono molto lieto, oggi, di poter offrire la mia umile collaborazione al Santo Padre nel­la cura di coloro che sono 'pupil­la oculi' del Papa, indispensabili collaboratori dell’Ordine episco­pale per la missione della Chiesa.

Quali sono le principali linee di a­zione che seguirà in questo com­pito?

La formazione del clero, nelle at­tuali circostanze, rappresenta cer­tamente una priorità alla quale vorrò porre la giusta attenzione, te­nendo presente che ogni riforma nella Chiesa nasce piegando le gi­nocchia; nasce da quello spirito di preghiera che riconosce il prima­to assoluto di Dio nella propria e­sistenza e nella storia. Di qui le conseguenze operative.

Lei ha seguito molto da vicino l’i­deazione e la realizzazione del­l’Anno Sacerdotale. Quale eredità lascia questo periodo vissuto sul­la scia della memoria di san Gio­vanni Maria Vianney?

Certamente una 'ricentratura' su ciò che, nella vita del sacerdote, è essenziale, superando i vari 'ridu­zionismi secolarizzanti' che si so­no succeduti negli ultimi decenni. Guardare a san Giovanni Maria Vianney significa riscoprire il pri­mato dell’Eucaristia, quotidiana­mente celebrata ed adorata, della Confessione sacramentale, rice­vuta e offerta, e del paziente a­scolto dei fratelli in quell’impor­tantissimo servizio di guida delle coscienze, che è la direzione spiri­tuale. Guardare al Curato d’Ars si­gnifica guardare un sacerdote ve­ro, che vive l’Amore del Cuore di Gesù, significa comprendere cosa si deve fare per formare i sacerdo­ti e per l’incisività del ministero pa­storale.

Negli ultimi anni ha avuto una grande enfasi il triste fenomeno degli abusi sessuali. In che modo la Chiesa può vivere e superare questa crisi?

Con la chiarezza sulla responsabi­lità dei singoli, sull’esempio del pa­pa Benedetto XVI; con la attenta e doverosa cura pastorale delle vit­time; riscoprendo il grande valore della penitenza e della riparazio­ne e, certamente, vivendo quella radicale fedeltà a Cristo, alla Chie­sa e al proprio stato di vita, che è capace da sola di ripresentare al mondo la vera figura del sacerdo­te.

In che modo si può rispondere al­la crisi di Vocazioni che attanaglia le nostre comunità?

Attraverso il pregare il Signore del­la messe, attraverso il chiaro ed u­mile riconoscimento degli errori commessi, attraverso la fedeltà a ciò che siamo e a ciò che dobbia­mo essere! Le Vocazioni - è un fat­to - fioriscono là dove c’è radicalità nella fede, evangelica carità, chia­rezza di identità e gioioso entusia­smo. I Movimenti e le nuove Co­munità sono esemplari, a tale ri­guardo. Aver diluito, quasi per­dendola, l’identità sacerdotale, de­rivante dalla configurazione onto­logica a Cristo Sacerdote, non ha avvicinato i giovani ma ha fatto perdere ogni forma di interesse per la specificità della vocazione sa­cerdotale. Non si diventa preti per fare i 'super-animatori' della co­munità, ma per essere nel mondo la ripresentazione sacramentale, quindi reale, di Gesù Cristo.

Come valuta l’esperienza delle co­siddette 'unità pastorali' che si stanno diffondendo anche in Ita­lia?

Se esse rappresentano il tentativo di mantenere in piedi una grande struttura, con meno personale, non avranno un grande futuro. Se, al contrario, sono vissute come reali strutture comunionali, nel pieno rispetto della distinzione es­senziale tra sacerdozio battesima­le e Sacerdozio ordinato, e, soprat­tutto, nel rispetto dell’idea teolo­gica e canonica del sacerdote co­me 'pastore proprio' della comu­nità, allora potranno avere un fu­turo benefico.

Eccellenza, lei viene da Genova. Che legami ha conservato con la diocesi in cui è nato e ha svolto i suoi primi anni di sacerdozio?

I legami che si hanno con la pro­pria casa e con le proprie radici. La Chiesa che vive a Genova mi ha fat­to cristiano, con il Santo Battesimo e la Cresima, in essa ho ricevuto, per la prima volta, Gesù Eucaristia, e in essa ho ricevuto i tre gradi del sacramento dell’Ordine. I doni più importanti della mia vita, sia ter­rena sia eterna, li ho ricevuto a Ge­nova, quindi il legame non può che essere 'vitale'!

DE:http://paparatzinger3-blograffaella.blogspot.com/2010/11/card-piacenza-ogni-riforma-nella-chiesa.html